Montagnaterapia – La montagna che cura

Si comincia a parlare di Montagnaterapia a fine anni 90, quando alcuni gruppi operanti all’interno delle sezioni della SAT (CAI Trentino), si confrontano con strutture più organizzate che si occupano di disabilità.

Ne parla in modo esplicito un giornalista, Matteo Serafin nel 1999, in un articolo pubblicato su ‘Famiglia Cristiana” dal titolo: “Quando la montagna diventa un aiuto alla vita”, dove sintetizza le grandi speranze suscitate da alcune esperienze pilota, riferite ad un convegno di operatori sanitari, guide alpine e giornalisti specializzati a Trento. L’articolo ribaltava uno stereotipo frequentemente utilizzato dai media della “montagna assassina”, nella “montagna che aiuta a viveree che cura.

All’inizio degli anni 2000, con associazione OLTRE di Montebelluna, che aveva tra i sui scopi quello di permettere la pratica di una disciplina sportiva a persone con disabilità intellettiva/ relazionale, abbiamo fatto le prime esperienze portando in palestra di arrampicata (indoor) un gruppo di utenti Down. L’attività si è rilevata, anche se piacevole, fine a sé stessa, senza nessun risultato terapeutico per la nostra inesperienza e perché limitata nel tempo. Da notare che gli utenti non erano interessati all’arrampicata in quanto tale, ma bensì dal farsi calare appesi alle corde e meglio ancora nel saltare sopra i materassi (gioco). 

Nel 2006 con alcuni operatori del Servizio Psichiatrico che frequentavano la scuola di alpinismo del CAI di Montebelluna, è nata l’idea di riprovare ad utilizzare l’arrampicata indoor come percorso riabilitativo per alcuni utenti psichici; ci siamo resi conto da subito che questa attività portava pochi benefeci, anzi in alcuni casi portava ad un peggioramento dei comportamenti a causa dell’aumento dell’ansia.

L’anno successivo abbiamo rimodulato l’attività, decidendo di trasferirla in ambiente, organizzando delle facili escursioni in montagna; da subito abbiamo capito che questa era la strada giusta per avere i migliori risultati a favore degli utenti.

Abbiamo anche capito che la nostra collaborazione nell’organizzazione tecnico-logistica dell’escursione non si limitava alla funzione di accompagnatori, ma in alcuni casi si trasformava in attività di portatori di zaini.

Nel 2008 abbiamo formalizzato il progetto di collaborazione tra ASL – CAI definendo alcuni principi base:

  • l’attività diventava continuativa programmando 8/10 uscite annuali, con almeno un fine settimana
  • il gruppo di accompagnatori doveva essere misto, operatori CSM e istruttori CAI oltre alle uscite dovevano essere programmati degli incontri formativi per gli utenti a cura del CAI    
  • la fatica moderata doveva essere parte integrante del progetto
  • gli utenti (max 15) dovevano essere monitorati per verificare gli effettivi benefici terapeutici dell’attività
  • a fine anno doveva esserci un momento formale di verifica del progetto.

Molte sono state le esperienze difficili all’inizio, per la nostra incapacità di capire quali erano i parametri tecnici (difficolta, dislivelli, tipo di percorso) da utilizzare per le uscite ed anche per un timore nel dover interagire con persone affette da patologie che non conoscevamo, ma molte ed inaspettate quelle positive.

Dall’inizio ad oggi abbiamo organizzato un centinaio di uscite, prevalentemente in montagna, ma con anche con mete diverse:

  • molti rifugi (Pramperet, Sassolungo, Serristori, Sesvenna, Venezia, Firenze, Calvi, Palmieri)
  • alcuni musei (MEVE di Montebelluna, Rovereto, Vittori Veneto)
  • varie (Casoni di Caorle, Alzaie del Site, Arte Sella in Valsugana)
  • una cima (Sass di Stria)
  • i fine settimana fine anno in baita (Val Canali)

Spesso ci siamo chiesti il perché del successo di questo progetto; possiamo provare a dare qualche risposta:

  • il confronto con persone “diverse” ha accresciuto in noi la consapevolezza di essere persone molto fortunate
  • la soddisfazione di avere aiutato, sperando di non essere presuntuosi, delle persone a vincere un pòdelle loro paure e aver condiviso con loro qualche ora di spensieratezza
  • vedere i partecipanti, uscita dopo uscita, trasformarsi da singoli a gruppo, da assistiti ad assistenti di altri partecipanti
  • sapere che alcuni utenti hanno iniziato a frequentare le palestre di arrampicata in modo autonomo
  • la perfetta sintonia instaurata tra operatori e istruttori

In questi anni sono cambiati a rotazione molti utenti, sono cambiati alcuni operatori e istruttori ma la voglia di continuare è rimasta inalterata.

Ritornando alla storia, solo nel 2018 il CAI-VFG definisce ufficialmente i progetti di Montagnaterapia come l’approccio a carattere terapeutico-riabilitativo e/o socio-educativo, finalizzato alla prevenzione, alla cura e alla riabilitazione degli individui portatori di differenti problematiche, psichiatriche, fisiche, emotive e cognitive; essa ha l’obbiettivo di migliorare la salute globale della persona affetta da questo tipo di patologie.

Da un recente sondaggio è emerso che più di un terzo delle Sezioni CAI del Veneto effettuano o hanno recentemente effettuato attività di Montagnaterapia, spesso a supporto delle strutture sanitarie pubbliche del territorio.

Concludiamo con le parole di Enrico Camanni (alpinista e giornalista) tratte da un intervento che ha fatto ad un convegno sul tema:

“Sono stato colpito da due cose, in particolare. La prima, che sembra banale ma non lo è affatto, è che si possa andare in montagna con gli altri, per i compagni, tarando la gita sulle capacità del più debole e condividendo i momenti dell’escursione come si affronta un incontro tra persone diverse, tra esperienza e condivisione, dove i competenti si mettono a disposizione degli impreparati, dove i più forti accompagnano chi non lo è, e alla fine comanda l’insieme, non il desiderio e la prestazione individuale. Però le «prestazioni» sono alte, altissime, e questa è la seconda cosa che ho imparato. La salita ad un rifugio è l’Everest di qualcuno, il traguardo con cui sognare e la soddisfazione con cui andare a dormire. ln questo la montagna è speciale: essendo dura, essendo in salita, è una prova per tutti, un rovesciamento della vita programmata, scontata, orizzontale. Credo sia l’unico sentimento che possiamo attribuire alla montagna senza paura di essere retorici: quel dirci «prova, se sei capace», quel non fare sconti, quell’equiparare il senso della fatica e della bellezza, da guadagnare ma alla portata di tutti”.